Australia per PMI italiane: opportunità da Sydney a Perth.
- Davide Mitscheunig
- 1 giu
- Tempo di lettura: 6 min

Il fumo del caffè bosniaco si alza lento dalla džezva mentre Rayan osserva i tetti di tegole rosse che si arrampicano sulle colline di Sarajevo. Siamo seduti nella terrazza del caffè Zlatna Ribica, nel cuore della Baščaršija, e il sole del pomeriggio trasforma i minareti e i campanili della città in silhouette dorate contro il cielo balcanico. È il terzo giorno del nostro incontro qui nella capitale bosniaca, lui, sua moglie e i suoi genitori sono in viaggio attraverso i Balcani, mentre io e mia moglie li abbiamo raggiunti da Milano per quello che doveva essere un semplice ritrovo familiare. Le nostre mogli sono cugine e Sarajevo era il punto di incontro più comodo per tutti, a metà strada tra il loro tour dei Balcani e la nostra base milanese.
Invece, si è trasformato in una lunga conversazione che sta ribaltando tutto quello che credevo di sapere sull'Australia e sulle opportunità che offre alle PMI italiane.
"Sai cosa mi colpisce di più dell'Europa?" mi dice Rayan, mescolando il caffè con movimenti lenti e pensosi. "Tutti voi guardate sempre ai soliti mercati. Germania, Francia, Stati Uniti. L'Australia per voi è ancora il paese dei canguri e dei coccodrilli, quando invece è uno dei mercati più sofisticati al mondo." Rayan dovrebbe saperlo: nato e cresciuto nel Queensland, oggi lavora per una grande multinazionale con sede a Perth e conosce bene le dinamiche del mercato australiano e le opportunità che offre alle aziende straniere.
Durante questi tre giorni passati tra i kafana di Sarajevo e le passeggiate lungo la Miljacka, Rayan mi ha raccontato un'Australia che non conoscevo. Non quella delle cartoline turistiche o dei documentari sulla natura selvaggia, ma quella delle opportunità concrete per chi, come molti imprenditori italiani, si sente stretto in un mercato domestico sempre più competitivo e regolamentato. "L'Australia è quello che l'Italia era negli anni del boom economico," mi ha spiegato ieri sera, mentre le nostre mogli chiacchieravano dei loro progetti futuri, e noi camminavamo verso il ponte latino dove iniziò la Prima Guerra Mondiale,"Un paese giovane, dinamico, che premia il merito e ha una fame incredibile di eccellenza europea."
La storia dell'Australia moderna, mi ha raccontato Rayan mentre visitavamo il Tunnel della Speranza, simbolo di resistenza e rinascita di Sarajevo, è quella di un paese che ha dovuto reinventarsi completamente in poche decadi. Fino agli anni '60, l'Australia era ancora largamente dipendente dall'Inghilterra, un'appendice rurale dell'Impero Britannico che esportava materie prime e importava prodotti finiti. La svolta è arrivata con l'abolizione della "White Australia Policy" e l'apertura verso l'Asia. In cinquant'anni, il paese si è trasformato da periferia coloniale in una delle economie più dinamiche e stabili al mondo.
"Ma sai qual è il vero segreto dell'Australia?" mi ha chiesto Rayan stamattina, mentre gustavamo una colazione tradizionale bosniaca al mercato Markale. "È riuscita a tenere insieme il meglio dei due mondi: la stabilità e la trasparenza del sistema anglosassone con l'energia e le opportunità del mercato asiatico. Per un'azienda italiana, è come avere accesso all'Asia senza rinunciare alle garanzie legali e alla qualità della vita europea."
I numeri che mi ha mostrato sono impressionanti: l'Australia è la quattordicesima economia mondiale, con un PIL di 1.728 miliardi di dollari e una crescita costante negli ultimi trent'anni, ma quello che colpisce di più è la composizione di questa ricchezza. Non più solo mining ed agricoltura, ma servizi finanziari, tecnologia, manifattura avanzata, creative industries. "Dal mio osservatorio privilegiato in una multinazionale," mi ha spiegato mentre passeggiavamo per il quartiere austro-ungarico di Sarajevo, "vedo ogni giorno come l'Australia si stia trasformando. Oggi esportiamo servizi avanzati, tecnologia, know-how in tutta l'Asia. Lo stesso vale per l'architettura, il design, l'ingegneria."
E' quando abbiamo iniziato a parlare delle opportunità concrete per le PMI italiane che la conversazione si è fatta davvero interessante. "Voi italiani avete un problema di prospettiva," mi ha detto Rayan, "Pensate all'Australia come a un mercato lontano e difficile, quando invece è molto più accessibile dell'Asia vera e propria. Stessa lingua degli affari, l'inglese, sistema legale comprensibile, cultura del business occidentale, ma con l'accesso diretto a tre miliardi di consumatori asiatici a meno di dieci ore di volo."
Il settore che secondo Rayan offre le maggiori opportunità per le aziende italiane è quello che lui chiama "lifestyle premium". "Gli australiani hanno soldi da spendere e sanno riconoscere la qualità," mi ha spiegato. "Il reddito medio è circa il doppio di quello italiano, e culturalmente sono cresciuti con il mito del Made in Italy, ma non quello stereotipato della pizza e del mandolino: quello dell'eccellenza nel design, nella meccanica, nella gastronomia raffinata."
Mi ha raccontato di alcune PMI italiane che hanno avuto successo clamoroso in Australia. Come quella piccola azienda di Reggio Emilia che produce macchinari per la lavorazione del Parmigiano Reggiano e che oggi ha il 40% del mercato australiano dei formaggi premium grazie alle tecnologie italiane, o quella startup milanese di e-commerce fashion che in due anni è diventata uno dei principali retailer online di abbigliamento luxury in Australia.
"Il caso che mi ha colpito di più," mi ha raccontato, mentre esploravamo i resti delle Olimpiadi invernali del 1984 sul monte Trebević, "è quello di Giovanni, un imprenditore di Vicenza che produceva componenti per impianti solari. Piccola azienda, quindici dipendenti, schiacciata tra la concorrenza cinese sui prezzi e quella tedesca sulla tecnologia. Cinque anni fa ha deciso di puntare sull'Australia: oggi la filiale di Sydney genera il 40% del fatturato totale e gli ha permesso di espandersi in Indonesia, Filippine, Nuova Zelanda."
Il segreto del successo di Giovanni, secondo Rayan, è stato capire che l'Australia non è un mercato di destinazione finale, ma una piattaforma di lancio regionale. "L'Australia ha accordi commerciali privilegiati con tutta l'area Asia-Pacifico. Una volta che sei stabilito lì, hai accesso agevolato a mercati che dall'Italia sarebbero impensabili. E soprattutto, hai una base sicura e stabile da cui operare."
Durante le nostre lunge conversazioni Rayan mi ha spiegato anche gli aspetti più pratici del trasferimento. "Il sistema fiscale australiano non è vantaggioso come quello di Dubai," ha ammesso, "ma è molto più semplice e trasparente di quello italiano. L'aliquota sulle società è del 30%, ma scende al 25% per le PMI sotto i 50 milioni di fatturato. E soprattutto, la burocrazia funziona: aprire un'azienda richiede una settimana, non sei mesi."
E' poi sulla qualità della vita che Rayan si è mostrato più convincente. "Ogni volta che torno in Europa", ha vissuto molti anni in UK, "mi ricordo quanto sia diversa la vita a Perth rispetto all'Italia. Non è solo una questione di stipendi più alti, è tutto il sistema che funziona meglio."
Mi ha raccontato del sistema sanitario universale - "Il Medicare copre tutto, e la qualità degli ospedali pubblici è spesso superiore a quella delle cliniche private italiane", del sistema scolastico, scuole pubbliche che in Italia sarebbero considerate private d'élite e della sicurezza dove ad esempio una città come Sydney ha un tasso di criminalità inferiore a quello di Bolzano.
"Sai cosa mi manca di meno dell'Europa?" mi ha chiesto retoricamente. "La mentalità del 'si è sempre fatto così'. In Australia, se hai un'idea innovativa e funziona, vieni premiato. Non devi giustificare il tuo successo o nascondere che guadagni bene. L'imprenditoria è vista come un valore sociale, non come qualcosa di cui vergognarsi."
Sui costi della vita, Rayan è stato onesto: "Sydney e Melbourne costano care, non c'è dubbio. Un appartamento decente in zona centrale può costare 4-5.000 dollari australiani al mese, ma considera che gli stipendi sono proporzionalmente più alti, e molti servizi sono pubblici e gratuiti. Il potere d'acquisto reale è superiore."
Mi ha mostrato anche delle foto della sua casa a Perth: una villa con giardino, piscina e vista mare che in Italia costerebbe milioni di euro, e che lui ha acquistato con un mutuo trentennale a tassi competitivi. "La cosa bella dell'Australia," mi ha spiegato, "è che anche se lavori in città, puoi permetterti di vivere bene, non come a Milano o Roma dove o vivi in periferia o spendi una fortuna."
Durante una delle nostre passeggiate lungo il fiume Bosnia, mi ha raccontato anche del multiculturalismo australiano. "In Italia parlate sempre di integrazione come di un problema," mi ha detto. "In Australia è un'opportunità. Il 30% della popolazione è nata all'estero, e questo crea un ambiente incredibilmente dinamico per gli affari. Se vuoi entrare nel mercato cinese, hai colleghi cinesi. Se vuoi espandere in India, hai partner indiani. È un network naturale che in Europa vi sognate."
Mentre ora scrivo queste righe sull'aereo che ci riporta a Milano, con mia moglie che dorme accanto a me, non riesco a smettere di pensare alle parole di Rayan. Sarajevo, con la sua storia di rinascita e trasformazione, è stata la cornice perfetta per questa conversazione che mi ha aperto gli occhi su un'Australia che non conoscevo. Un paese che, lontano dai riflettori europei, si è costruito un futuro solido e prospero.
Forse è davvero arrivato il momento di guardare oltre i confini tradizionali dell'Europa. Forse l'ultima frontiera per le PMI italiane non è in un altro continente, ma dall'altra parte del mondo, dove il sole sorge quando qui tramonta, e dove le opportunità sono ancora alla portata di chi ha il coraggio di coglierle.
Rientro in Italia con la sensazione netta che questo sia solo un primo capitolo.L’Australia non è più un sogno esotico da cartolina: è una leva reale.Un sistema che funziona, che attrae valore, che premia chi ha visione, mentre l’aereo scivola sopra i Balcani, guardo fuori e penso: il futuro non è dove siamo nati, ma dove possiamo crescere liberi.
In un mondo che cambia, alcune geografie iniziano a sembrare strategie. La domanda non è se partire, è: siamo pronti a costruire davvero, fuori dai confini mentali di sempre?
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