Gucci, LVMH e Hermès: quando anche il mercato del lusso fatica. E cosa significa questo per chi vuole vendere all’estero.
- Davide Mitscheunig
- 24 apr
- Tempo di lettura: 3 min

Gucci ha appena annunciato un calo delle vendite del 25% nel primo trimestre. Il titolo di Kering, la holding madre, è già sceso di oltre il 50% in un anno. Anche giganti come LVMH e Hermès, pur più solidi, iniziano a muoversi con cautela in un mercato sempre più complesso. Ma cosa c’entra tutto questo con le PMI italiane che guardano all’estero?
Tutto. Perché l’espansione internazionale – che tu sia Gucci o una piccola azienda del Made in Italy – non è mai una questione di fortuna. È strategia, visione e posizionamento.
Il caso Gucci: quando il re perde il trono
Gucci è in crisi. Il calo del 25% registrato nel trimestre non è un evento isolato ma il risultato di un lungo ciclo di riposizionamento.
Dopo l’uscita di Alessandro Michele, è arrivato un nuovo direttore creativo da Balenciaga, che però debutterà solo a settembre. E i suoi prodotti saranno nei negozi nel 2025. Fino ad allora, il brand naviga a vista.
Qui il punto non è solo stilistico. È una lezione sul tempo.
Anche un marchio planetario, con budget infiniti e talenti riconosciuti, ha bisogno di anni per riposizionarsi efficacemente.
E se serve a Gucci, figuriamoci quanto serve a una PMI.
Il potere del pricing: LVMH e Hermès contro i dazi.
Mentre Gucci fatica, LVMH e Hermès reagiscono con più prontezza ai segnali del mercato. Entrambi hanno deciso di aumentare i prezzi negli Stati Uniti per compensare i nuovi dazi del 10% sulle merci europee.
Ma attenzione: l’aumento è solo del 4–5%.Nel lusso, il pricing è una leva sottile e delicata. Troppo basso, e perdi marginalità. Troppo alto, e rischi di erodere la fedeltà del cliente.
LVMH e Hermès sanno giocare questa partita con precisione millimetrica.
Per una PMI, il messaggio è chiaro:
→ Avere pricing power richiede un posizionamento forte.
→ L’espansione internazionale non può avvenire con listini improvvisati o copiati dal mercato interno.
→ Serve analisi, consapevolezza del valore e capacità di comunicarlo.
Espansione internazionale: non è per chi ha fretta.
Il vero errore che molte imprese italiane fanno quando si affacciano all’estero è pensare che basti un distributore, una fiera o una traduzione per “andare fuori”.
Ma come ci mostra il caso Gucci, il posizionamento non si improvvisa:
→ Serve una narrazione coerente.
→ Serve costruzione di relazioni e reputazione nel tempo.
→ Serve capacità di adattamento a culture e logiche diverse.
E soprattutto, serve una visione di lungo periodo. Perché il ritorno sull’investimento, all’estero, è reale. Ma non è immediato.
Cosa possiamo imparare dalle grandi firme.
Il mercato del lusso è il laboratorio perfetto per osservare come funziona davvero l’espansione internazionale.
Chi ha brand forti, pricing solido e direzione chiara, resiste anche ai momenti difficili.
Chi è debole nel posizionamento o disallineato nei messaggi, viene spazzato via – anche se si chiama Gucci.
Le PMI italiane, oggi, hanno una grande opportunità: imparare dai giganti.
Non per copiarli, ma per portare nella propria scala gli stessi principi di strategia, branding e gestione del rischio.
E magari, posizionarsi anche meglio, con maggiore flessibilità, autenticità e capacità di innovazione.
Cosa penso
In un mondo che cambia, non basta più produrre bene. Bisogna comunicare valore, negoziare da pari e costruire strategie internazionali consapevoli.
L'attuale declino di Gucci non è un fallimento. È un avvertimento.
E i movimenti di Hermès e LVMH ci ricordano che la stabilità è frutto di precisione e visione, non di rendite di posizione.
Se oggi vuoi vendere all’estero, chiediti:
→ Sto lavorando sul mio posizionamento?
→ Ho margini abbastanza sani da poter investire su nuovi mercati?
→ Ho un piano reale, o solo un’idea vaga?
L’espansione internazionale è una delle avventure più affascinanti che un imprenditore possa affrontare. Ma è una sfida da preparare con metodo, non da improvvisare.
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