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Internazionalizzare oggi: come sopravvivere all’instabilità globale.




Non è più il tempo delle certezze.

L’illusione di una stabilità sistemica, economica, monetaria, geopolitica, si sta sgretolando sotto il peso di una complessità che accelera e si moltiplica. Le parole di Jamie Dimon, CEO di JPMorgan, non sono allarmistiche, ma lucidamente strategiche: il mondo è entrato in una fase di turbolenza strutturale e per chi fa impresa, fingere che nulla sia cambiato è il rischio più grande.


La fine dell’illusione: mercati compiacenti, rischi sottovalutati

Per anni, la narrazione dominante è stata quella del “rimbalzo”, della “ripartenza” dopo le crisi, ma oggi, la fotografia macroeconomica racconta un’altra storia.

Secondo Dimon, i mercati stanno ignorando segnali che un tempo avrebbero fatto scattare allarmi ovunque: debiti pubblici ai massimi, inflazione persistente, ridefinizione delle catene del valore globali, tensioni commerciali in aumento. A ciò si aggiunge il ritorno di uno spettro che pensavamo consegnato al passato: la stagflazione, cioè crescita nulla e prezzi in ascesa. La vera domanda da porsi non è se ci sarà un evento di rottura, ma quanto siamo preparati ad affrontarlo.


Il nuovo ordine multipolare: Asia e Medio Oriente come centri di gravità.

L’economia globale non è più centrata sull’Occidente. Mentre gli Stati Uniti affrontano tensioni interne ed esterne e l’Europa arranca, l’Asia consolida la propria centralità economica e strategica. JPMorgan, pur sotto pressione politica, rafforza la sua presenza in Cina: una decisione che parla la lingua del lungo periodo, della resilienza e dell’adattamento.

Contemporaneamente, il Medio Oriente si candida a diventare uno snodo decisivo della nuova geoeconomia: Arabia Saudita, Emirati, Qatar stanno ridefinendo la loro identità economica puntando su innovazione, diversificazione e pace.

In questo scenario, restare fermi equivale a scomparire. La vera questione è: dove vogliamo posizionare la nostra azienda nel mondo che verrà?


Competenze nuove per un tempo nuovo

Internazionalizzare oggi non è più solo un’opportunità. È una disciplina. Serve preparazione, visione, capacità di leggere i segnali deboli e muoversi prima degli altri. Non basta più “vendere all’estero”: serve ragionare da impresa globale, strutturarsi per dialogare con più culture, più fusi orari, più normative. Le aziende che stanno prosperando oggi hanno in comune un elemento: pensano in termini di scenari e non di previsioni. In altre parole, hanno capito che non si tratta di prevedere il futuro, ma di progettare la propria posizione in esso.


Adattarsi non è arrendersi, è leadership.

Davanti a una realtà che muta ogni trimestre, serve lucidità, non panico. Non è tempo di fuga, ma di scelta consapevole. Il metodo con cui affrontiamo l’incertezza fa la differenza tra sopravvivere e crescere. Oggi, un’azienda che intende espandersi deve saper navigare l’instabilità con radici salde e vele aperte. Non esistono più “mercati sicuri” per definizione, ma solo contesti da esplorare con intelligenza strategica, reti solide e una nuova visione del valore. In questo senso, l’internazionalizzazione non è una reazione, ma una forma evolutiva dell’impresa.


Ultima riflessione.

Jamie Dimon non dà ricette, ma mostra il paesaggio. E quel paesaggio è chiaro: il tempo delle semplificazioni è finito. Viviamo in un sistema interconnesso, dove decisioni politiche in Asia influenzano mercati in Europa, e dove la geopolitica è tornata a essere un fattore di business quotidiano. La vera sfida per l’imprenditore oggi non è “fare di più”, ma pensare meglio, guardare lontano e scegliere in che mondo vuole giocare la propria partita. Se il contesto attuale fosse un campo di battaglia globale per la creazione di valore…la tua azienda si sta muovendo con strategia o per inerzia?


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