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Italia Fuori dall'Europa? Perché è Impossibile e Qual è la Vera Salvezza.


Immagine concettuale che raffigura un'antica colonna italiana (simbolo dell'Italia) avvolta da catene che rappresentano i vincoli dell'Unione Europea e della NATO, con cartelli "US Bases". Sopra, una mappa mondiale con icone che indicano dipendenza energetica, tecnologia mancante, inflazione e calo dell'export, riflettendo le sfide geopolitiche ed economiche dell'Italia.

Ogni volta che un articolo tocca i fallimenti dell'Unione Europea, la sezione commenti si riempie del solito coro: "L'Italia Fuori dall'Europa! Basta Bruxelles! Torniamo sovrani!". È un sentimento diffuso, comprensibile, alimentato da delusione e rabbia, ma la verità geopolitica è molto più dura di così: non basta voler uscire dall'Europa, e non basterebbe nemmeno riuscirci.


L'Italia oggi non ha né gli strumenti né la forza per affrontare in solitaria un mondo dominato da blocchi economici, militari e tecnologici e chi lo dice senza analisi strategica, semplifica un problema che, in realtà, è questione di sopravvivenza nazionale. Questa è un'analisi spietata ma necessaria di dove ci troviamo e di cosa possiamo realmente fare per costruire un futuro migliore.


L'illusione della moneta.

Il primo mito da sfatare riguarda l'euro. Non è la moneta unica il vero ostacolo alla nostra autonomia. Non è l'euro che ci tiene dentro l'Unione, ma la rete di vincoli geopolitici, militari ed economici che legano il nostro Paese a un sistema più ampio e complesso.


Pensare che basti stampare lire per azzerare il debito pubblico è un'illusione pericolosa. Sì, la sovranità monetaria darebbe margini di manovra, ma significherebbe anche inflazione galoppante, svalutazione competitiva, crollo dei risparmi interni, isolamento sui mercati finanziari internazionali. I mercati globali non si addomesticano con gli slogan nazionalisti, e una valuta senza credibilità internazionale diventa rapidamente carta straccia.


L'Argentina ha sovranità monetaria, eppure ha vissuto decenni di crisi ricorrenti, la Turchia stampa lire turche, ma questo non le ha impedito di vedere la propria economia devastata dall'inflazione. La sovranità monetaria senza una solida base produttiva, senza credibilità internazionale e senza alleanze strategiche è spesso più un peso che un vantaggio.


La vera gabbia: NATO e Stati Uniti.

Chi sogna un'Italia fuori dall'UE dimentica sistematicamente che restiamo comunque un Paese NATO, con basi americane strategiche sul nostro territorio e trattati militari vincolanti che risalgono alla Guerra Fredda. Aviano, Sigonella, Camp Darby non sono decorazioni: sono infrastrutture strategiche americane in territorio italiano.


Uscire dall'Europa ma restare nella NATO significherebbe perdere il dialogo con Bruxelles ma avere Washington come sorvegliante unico e cioè un vincolo ancora più stretto, ancora più unilaterale. Saremmo ridotti al ruolo di base operativa americana nel Mediterraneo, senza alcuna voce in capitolo nelle decisioni che ci riguardano.


E se decidessimo di rompere anche con la NATO? Allora l'Italia verrebbe immediatamente isolata e trattata come un paria state (stato isolato) all'interno dell'Occidente. Sanzioni economiche, isolamento diplomatico, pressioni di ogni tipo; basta guardare cosa è successo alla Russia dopo il 2022 per capire cosa significhi trovarsi dall'altra parte della barricata occidentale; e noi non siamo la Russia.


La verità è che l'Italia, per la sua posizione geografica nel Mediterraneo e per la sua storia del dopoguerra, è strutturalmente inserita nel sistema atlantico. Uscirne significherebbe non conquistare l'indipendenza, ma cambiare padrone.


Gli asset mancanti.

Trenta / Quarant'anni fa l'Italia era ancora una potenza industriale di primo piano, la Fiat competeva con BMW e Mercedes, l'Olivetti era all'avanguardia nell'informatica, le nostre banche erano protagoniste sui mercati internazionali; oggi il mondo si gioca su campi completamente diversi:


Intelligenza artificiale: dominata da Stati Uniti e Cina.

Cloud e infrastrutture digitali: nelle mani di Amazon, Microsoft, Google, Alibaba.

Cyber security: settore strategico dove l'Italia è marginale.

Semiconduttori: Taiwan, Corea del Sud, Cina gli attori principali.

Energie rinnovabili: Cina leader mondiale nella produzione.


L'Italia non ha la massa critica, né le risorse tecnologiche, né gli investimenti in ricerca e sviluppo per giocare una partita autonoma in questi settori e senza questi asset tecnologici, un Paese di medie dimensioni non può permettersi di sfidare da solo i blocchi globali. È come presentarsi a una guerra moderna con fucili della Prima Guerra Mondiale.


Il nostro PIL pro capite è fermo da vent'anni, la produttività ristagna, l'innovazione langue, in questo contesto, parlare di grande potenza autonoma è pura fantasia.


Energia e debolezza strutturale.

Un'altra verità spesso dimenticata nel dibattito pubblico: l'Italia importa la quasi totalità della sua energia. Senza relazioni stabili con Medio Oriente, Nord Africa e fornitori internazionali, ogni ipotesi di autonomia strategica crolla immediatamente.


Abbiamo già perso la Russia come fornitore principale dopo la guerra in Ucraina, e i piani B sono ancora incerti e costosi; l'Algeria può compensare solo in parte, il GNL americano costa di più, il nucleare francese è in crisi e parlare di "uscita" dall'Europa senza considerare la nostra drammatica dipendenza energetica è pura retorica da bar.


Un Paese che non controlla le proprie fonti energetiche non può avere una politica estera indipendente, é una legge ferrea della geopolitica che nessun "wishful thinking" può cancellare.


Grafico che mostra come il 60% dell'export italiano sia diretto verso il mercato unico europeo.

L'export e il mercato unico.

I dati economici sono implacabili: il 60% delle esportazioni italiane va nel mercato unico europeo; le nostre aziende, dalle multinazionali alle PMI, hanno costruito le loro catene del valore, i loro network commerciali, i loro piani industriali attorno al mercato europeo.


Uscire dall'UE significherebbe, nell'immediato, dover affrontare barriere doganali e dazi su quasi due terzi del nostro export. Le procedure burocratiche si moltiplicherebbero, i costi di transazione esploderebbero, la competitività delle nostre imprese crollerebbe.


Vuol dire che le nostre PMI, l'ossatura del sistema industriale italiano, si troverebbero strozzate in pochi mesi; realmente non c'è retorica sovranista che possa annullare questa matematica spietata; le aziende italiane vendono dove possono vendere, non dove detta l'ideologia.


Il Made in Italy, dal fashion al food, dall'automotive al design, vive del mercato europeo. Tagliare questi legami significherebbe suicidarsi economicamente.


BRICS: l'alternativa che non c'è.

Molti vedono nei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) una sponda alternativa credibile ed è, a mio avviso, un'altra semplificazione pericolosa. I BRICS non sono un blocco coeso come l'UE o la NATO: la Cina domina economicamente, l'India diffida strategicamente di Pechino, il Brasile oscilla tra Washington e i partner regionali, la Russia è sotto pressione occidentale, il Sudafrica è alle prese con crisi interne.


Al momento, i BRICS non hanno una moneta comune, né istituzioni sovranazionali forti o strategie militari condivise: funzionano come un forum di cooperazione. Entrare in quell’orbita non significa automaticamente indipendenza: significa spesso accettare forme di influenza e con il reale rischio di divenire il partner più piccolo in un blocco dove le potenze maggiori (tra cui la Cina) restano con il maggior peso.


Inoltre, la Cina non ha bisogno dell'Italia come partner strategico, ha bisogno dell'Italia come mercato di sbocco e come teste di ponte in Europa. Oggi nei BRICS saremmo sicuramente utili idioti, non alleati alla pari.


La vera via: hedging strategico.

In realtà, l'Italia oggi pratica già la sua unica strategia possibile: il barcamenarsi intelligente. In geopolitica si chiama hedging: mantenere rapporti con tutti i blocchi, senza sposare completamente nessuno. Non è elegante, non è glorioso, ma è l'unico modo per sopravvivere quando si è in una posizione strutturalmente fragile.


Significa tenere un piede saldo con Washington (NATO, alleanza atlantica), un occhio attento a Pechino (Via della Seta, investimenti cinesi), un canale aperto con Mosca (quando possibile), rapporti privilegiati con l'Africa (ENI, cooperazione), e sperare che l'Europa non collassi troppo in fretta.


Questa strategia non piace ai puristi di nessun campo, ma è realista. L'Italia non ha la forza per dettare le regole del gioco, ma può ancora scegliere come giocare la propria partita.


L'unico scenario di uscita reale: il collasso interno dell'UE.

La sola via realistica per un'Italia fuori dall'Europa non è un atto di forza unilaterale del tipo Brexit, ma un collasso interno dell'Unione Europea. Se Germania, Francia e Italia insieme dovessero decidere di rompere, allora si aprirebbe davvero uno spazio per ridisegnare i blocchi continentali.


Ma anche in questo scenario, senza una classe dirigente all'altezza della situazione, saremmo più spettatori che protagonisti. I tedeschi riorganizzerebbero la Mitteleuropa, i francesi si concentrerebbero sull'Africa francofona, noi resteremmo con il cerino in mano nel Mediterraneo.


Il collasso dell'UE, se dovesse avvenire, potrebbe aprire opportunità, ma anche esporre l'Italia a rischi enormi: flussi migratori incontrollati, instabilità nei Balcani, pressioni turche, caos libico alle porte di casa.


La questione della classe dirigente.

E qui arriviamo al punto più doloroso e decisivo. Uscire dall'UE, o anche solo rinegoziare radicalmente la nostra posizione, richiederebbe una leadership di statura storica: un De Gaulle, un Modi, un leader capace di reggere la pressione simultanea di Washington e Bruxelles, e di costruire nuove alleanze credibili da zero.


Guardiamo la Francia: De Gaulle riuscì a uscire dal comando integrato NATO mantenendo l'alleanza atlantica, costruì la force de frappe nucleare, creò rapporti privilegiati con la Russia, l'Africa, il mondo arabo, ma era De Gaulle, con una visione strategica di lungo periodo e la forza politica per realizzarla.


Oggi in Italia non c'è nulla di simile, né a destra né a sinistra né al centro. Abbiamo politici tattici che ragionano per sondaggi e cicli elettorali, non strateghi capaci di pensare per decenni. Abbiamo una classe dirigente che fa fatica a gestire l'ordinario, figuriamoci una rivoluzione geopolitica.


Senza leadership visionaria e pragmatica insieme, l'indipendenza resta un sogno da bar dello sport.


I costi nascosti dell'isolamento.

Chi invoca l'uscita dall'Europa spesso sottovaluta i costi nascosti dell'isolamento. Non si tratta solo di economia e commercio, ma di soft power, influenza culturale, capacità di attrazione.


L'Italia oggi attrae studenti, ricercatori, investimenti, turisti anche perché è parte del progetto europeo e per questo le nostre università partecipano ai programmi Erasmus, i nostri ricercatori accedono ai fondi europei per la ricerca, le nostre città sono tappe del Grand Tour europeo.


Un'Italia isolata sarebbe un'Italia provinciale, tagliata fuori dai grandi flussi culturali e scientifici, sarebbe la fine di quel ruolo di ponte tra Nord e Sud, tra Oriente e Occidente, che è stata la nostra vocazione storica.


Italia Fuori dall'Europa? Cosa possiamo davvero fare.

E allora? Siamo condannati alla rovina e alla marginalità? Non necessariamente, ma dobbiamo essere realisti sui nostri margini di manovra e intelligenti nelle nostre scelte strategiche.


Quello che possiamo fare concretamente è prepararci al futuro con pragmatismo e visione.


Sul piano tecnologico e industriale: investire massicciamente in intelligenza artificiale, cybersecurity, energie rinnovabili, biotecnologie. Non per diventare leader mondiali, questo treno è perso, ma per non restare totalmente dipendenti. Creare nicchie di eccellenza dove possiamo ancora competere.


Sul piano diplomatico: diversificare i rapporti internazionali senza illusioni ma con pragmatismo, rafforzare i legami con l'Africa mediterranea, aprire canali con l'Asia, mantenere il dialogo con tutti. L'hedging non è tradimento, è sopravvivenza intelligente.


Sul piano interno: creare una classe dirigente capace di pensare in termini di decenni, non di sondaggi, investire nell'educazione, nella formazione, nella meritocrazia. Senza élite competenti, non c'è strategia che tenga.


Sul piano europeo: lavorare per riformare l'UE dall'interno invece che sognare fughe impossibili, allearsi con altri Paesi del Sud per cambiare gli equilibri, spingere per maggiore flessibilità fiscale, per politiche industriali comuni, per una vera autonomia strategica europea.


Ma ci sono tre pilastri fondamentali che non possiamo più rimandare:


per gli imprenditori.

La strategia vincente nell'immediato è diversificare andando all'estero, sia verso Est che verso Ovest. Aprire nuovi mercati, creare reti internazionali, costruire basi operative fuori dai confini nazionali. Non per fuggire dall'Italia, ma per rafforzare l'azienda in patria grazie a fondamenta più solide all'estero. Chi resta chiuso nel mercato domestico rischia l'asfissia.


Per i cittadini.

I cambiamenti strutturali, sociali e culturali di cui abbiamo bisogno richiederanno generazioni. Non li vedremo compiuti nella nostra vita, ma il dovere morale della nostra generazione è piantare i semi giusti per i nostri figli e nipoti, affinché abbiano ancora un Paese in cui valga la pena vivere e lavorare. La visione deve essere di lungo periodo, oltre i nostri orizzonti biologici.


Per la nazione.

Il primo intervento urgente dovrebbe essere una politica seria e massiccia a sostegno delle famiglie e della natalità. L'Italia è un Paese che sta invecchiando troppo in fretta e che fa troppo pochi figli. Se non invertiamo drasticamente il declino demografico, non ci sarà indipendenza economica o geopolitica che possa salvarci dal declino. Senza giovani, senza nuove generazioni, non c'è futuro per nessuna strategia nazionale.


Epilogo: realismo e speranza.

La verità è semplice e dura: l'Italia da sola non ce la fa, ma nemmeno un'Europa debole e mal governata ci salverà automaticamente. Siamo in una fase di transizione storica dove i vecchi equilibri stanno saltando e quelli nuovi non sono ancora definiti.


In questo contesto, l'Italia può ancora giocare un ruolo significativo, ma solo se abbandona le illusioni e abbraccia un realismo strategico spietato. O cambiamo passo, diversifichiamo le nostre basi nel mondo, sosteniamo concretamente le famiglie, costruiamo nuove competenze e nuove alleanze, o resteremo condannati a essere il vaso di coccio tra i blocchi del XXI secolo.


Non si tratta di essere pessimisti o ottimisti, ma di essere lucidi. La storia non aspetta nessuno, e i Paesi che non si adattano ai nuovi equilibri globali finiscono ai margini. L'Italia ha ancora le carte per giocare una partita dignitosa, ma deve smetterla di cullarsi nelle illusioni del passato e guardare in faccia la realtà del presente.


Il tempo per le scelte strategiche è adesso, domani potrebbe essere troppo tardi.

©2023 by RaisingStar

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