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Riforma del diritto del lavoro nel Regno Unito: impatto sui livelli di vita e sull’economia


una bilancia che sta ad equilibrare il diritto al lavoro con il libero mercato

In un momento cruciale per la ripresa economica post-pandemia, il Regno Unito si trova ad affrontare una profonda revisione del proprio quadro normativo in materia di lavoro. Il nuovo Employment Rights Bill, promosso dal segretario al business Jonathan Reynolds, mira a rafforzare i diritti dei lavoratori. Tuttavia, numerose associazioni di categoria — dalla CBI all’Institute of Directors — lanciano l’allarme: la riforma del diritto del lavoro nel Regno Unito potrebbe compromettere i livelli di vita e ostacolare la crescita economica.

L’intento del governo: diritti, equità, occupazione

Il progetto di legge nasce con obiettivi dichiarati nobili: creare un contesto lavorativo più equo, tutelare i lavoratori fin dal primo giorno di assunzione, e regolamentare meglio i contratti a zero ore, spesso criticati per la loro precarietà. Il governo insiste che queste misure non solo saranno "buone per i lavoratori", ma anche per le imprese e per l’intera economia.

Tuttavia, la distanza tra la visione politica e la realtà imprenditoriale sembra crescere. Le imprese lamentano un aumento della burocrazia, maggiori costi e un livello di incertezza legale che rischia di soffocare la capacità di creare posti di lavoro, proprio mentre il Paese ha bisogno di dinamismo e innovazione.


Le criticità segnalate dalle imprese: più rischio, meno occupazione

Un documento inviato a tutti i membri della Camera dei Lord, firmato da decine di migliaia di imprese attraverso le principali associazioni di categoria, rappresenta una presa di posizione senza precedenti. Le critiche principali al disegno di legge si concentrano su quattro aree:


1. Tutela contro il licenziamento fin dal primo giorno

La possibilità per ogni nuovo assunto di essere protetto contro i licenziamenti ingiustificati sin dal primo giorno di lavoro potrebbe rendere le aziende molto più caute nell’assumere. In contesti incerti o per ruoli temporanei, il rischio legale associato a un eventuale licenziamento può comportare l’obbligo di attivare consultazioni collettive e procedure complesse.


2. Fine dei contratti a zero ore

La proposta di trasformare in diritto legale l’accesso a contratti con orari garantiti, in sostituzione dei flessibili contratti a zero ore, colpisce in pieno settori come il turismo, l’ospitalità e la logistica, dove la domanda è stagionale e difficilmente prevedibile. Una rigidità eccessiva rischia di penalizzare anche quei lavoratori che preferiscono la flessibilità, come studenti, madri o pensionati.


3. Nuovi poteri ai sindacati e modifiche ai contratti

Altri punti critici includono l’espansione dei poteri delle organizzazioni sindacali, la revisione delle regole sulla malattia retribuita e le maggiori restrizioni nelle modifiche contrattuali. Le imprese temono che l’insieme di queste norme aumenti il rischio di contenziosi e renda più difficile adattare le organizzazioni alle esigenze del mercato.


Un paradosso economico: più vincoli in un momento di crisi

l cuore della protesta imprenditoriale risiede in un paradosso: il governo vuole favorire l’occupazione e ridurre il ricorso al welfare, ma le nuove norme rendono l’assunzione più rischiosa, costosa e complicata. Anche gli imprenditori più benevoli, oggi, riflettono due volte prima di offrire una possibilità a chi cerca un primo impiego o vuole ricollocarsi.

Il rischio sistemico è che molte imprese smettano di investire nella crescita, proprio mentre l’economia ne avrebbe più bisogno. Se il costo di un nuovo assunto diventa troppo elevato, non solo in termini finanziari ma anche burocratici, la reazione sarà il congelamento del mercato del lavoro, con un impatto diretto sul potere d’acquisto delle famiglie e quindi, in ultima analisi, sul livello di vita nel Regno Unito.


La posizione degli imprenditori: riformare sì, ma con equilibrio

Nella loro lettera, le associazioni imprenditoriali non rifiutano il principio di una riforma. Anzi, propongono un approccio costruttivo, suggerendo modifiche che possano tutelare sia i lavoratori sia la sostenibilità del sistema produttivo:

  • Garantire il diritto a richiedere un contratto con orari garantiti, piuttosto che imporlo obbligatoriamente.

  • Stabilire una soglia di tempo prima di attivare la protezione contro il licenziamento.

  • Mantenere una certa flessibilità nella gestione dei contratti, per non bloccare l’innovazione nei modelli organizzativi.

Secondo i firmatari, il vero problema non è cosa il governo vuole ottenere, ma come intende farlo. Ignorare le dinamiche del settore privato e i vincoli del mercato rischia di produrre esiti contrari a quelli desiderati.


Cosa penso? Una sfida per la politica del lavoro

La questione aperta non riguarda solo i dettagli tecnici della riforma, ma una visione più ampia: quale ruolo attribuire all’impresa nella società, e quanto fidarsi della sua capacità di creare valore? Il Regno Unito è a un bivio tra protezionismo giuridico e pragmatismo economico.

Senza un ascolto attivo delle istanze del mondo produttivo, la riforma potrebbe trasformarsi da occasione di crescita in zavorra per l’economia. Serve equilibrio: proteggere i lavoratori senza disincentivare la creazione di lavoro. E serve coraggio, per ammettere che l’occupazione non si crea per decreto, ma con investimenti, fiducia e una visione condivisa del futuro.

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