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Trump, i dazi e il riposizionamento dell’economia mondiale.

Il ritorno di Trump al centro del dibattito globale sul commercio non è un ritorno nostalgico al protezionismo.


È l’affermazione definitiva di un nuovo modello di potere: quello della leva selettiva e imprevedibile. Non siamo più in un’economia globale basata su regole comuni. 

Siamo in una fase in cui ogni grande blocco (USA, Cina, Asia, Medio Oriente) sta cercando di massimizzare il proprio vantaggio competitivo interno, attrarre capitali produttivi, dominare la narrazione commerciale globale.


( continua a leggere sotto al video)


Trump non usa i dazi come barriera.

Li usa come leva negoziale, psicologica e identitaria. Flessibili, perché cambiano settore per settore (tech sì, auto forse, beni di lusso no). Imprevedibili, perché possono essere ritirati o raddoppiati in 24 ore. Politici, perché diventano strumento di alleanza o minaccia con qualsiasi Paese. Nel frattempo, dichiara di trattare con 130 Paesi. 


Ma non sta trattando.


Sta costringendo il mondo a prendere posizione. E questo è geniale. Perché non vinci più sul prodotto, vinci sulla centralità strategica. Se sei al centro della negoziazione mondiale, comandi le regole anche se non firmi nessun trattato.


E in tutto questo, il vero bersaglio non è la Cina. 


È la cultura di dipendenza economica che ha reso l’Occidente fragile. Trump non sta riportando a casa solo le fabbriche. Sta riportando a casa il valore industriale, il capitale tecnologico, e il controllo del rischio. L’obiettivo è uno solo: essere autonomi su ciò che conta (AI, semiconduttori, energia, valuta) prima che qualcun altro decida il prezzo.


Ora guardiamoci in casa, da imprenditori. 


Noi italiani ci muoviamo con la testa da esportatori “creativi”: pensiamo che la qualità basti, che basti parlare inglese, che un catalogo tradotto sia “internazionalizzazione”. Ma in questo scenario, un’azienda che non ha una presenza vera, solida e localizzata all’estero, non è internazionale. È periferica.


Internazionalizzare oggi non è una scelta commerciale. È una mossa di posizionamento. Non per farsi trovare, ma per non farsi tagliare fuori.


E mentre alcuni Paesi giocano a ridisegnare le regole del sistema, altri si limitano ad adattarsi. A subirle. A commentarle. Il problema, in fondo, non è Trump. Il problema è restare immobili mentre tutto il resto si muove.


 
 
 

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