Nuove politiche migratorie UK: una sfida per il business, un’opportunità per chi sa leggere il cambiamento
- Davide Mitscheunig
- 3 giorni fa
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Aggiornamento: 3 giorni fa

Londra lancia un nuovo corso sull’immigrazione. E, ancora una volta, chi fa impresa è chiamato ad anticipare, più che reagire.
Il Primo Ministro britannico Kier Starmer ha annunciato la riforma più radicale delle politiche migratorie in UK dagli anni post-Brexit: ridurre il saldo migratorio di 98.000 unità all’anno, puntare sull’occupazione interna, selezionare meglio i profili in ingresso.
Una scelta che nasce tanto da una pressione politica quanto da un’esigenza economica irrisolta. Ma cosa significa davvero per chi guarda al Regno Unito come mercato d’espansione o investimento?
Immigrazione selettiva in un’economia in stagnazione.
Il Regno Unito si trova in un paradosso. Da un lato, il governo Labour stringe sulle politiche migratorie per rispondere all’onda lunga populista guidata dal Reform Party. Dall’altro, il Tesoro e molte imprese sottolineano come la mancanza di lavoratori, specialmente in settori tech e low-skill, stia frenando la ripresa. Il PIL pro capite è in calo da oltre due anni, e il nesso tra crescita economica e immigrazione massiva viene messo in discussione. La narrativa si sposta quindi dalla quantità alla qualità della forza lavoro: l’Inghilterra non chiude, ma filtra.
Implicazioni per chi fa impresa: ostacoli o leve?
Per le aziende italiane che vogliono entrare o rafforzarsi nel mercato UK, la riforma rappresenta un bivio. Le barriere burocratiche aumentano: test linguistici, requisiti più stringenti, maggiore controllo. Ma chi offre valore reale, know-how strategico e competenze chiave può ancora entrare. Anzi, può farlo da protagonista. Questo significa ripensare il proprio approccio all’internazionalizzazione: non più basato solo su export o presenze commerciali, ma su modelli che includano formazione, local hiring, skill transfer e relazioni con le istituzioni britanniche.
Il nuovo vantaggio competitivo: capitale umano integrato.
Il governo Starmer chiede alle imprese di investire nella formazione dei lavoratori locali se vogliono continuare ad assumere all’estero. Un messaggio chiaro: il futuro del business internazionale passa dalla contaminazione virtuosa, dalla creazione di valore che non si limita al profitto, ma include impatto sociale e crescita diffusa. Ecco perché chi saprà presentarsi al mercato UK non solo con prodotti, ma con metodologie, cultura organizzativa e visione imprenditoriale, potrà ritagliarsi uno spazio importante anche in un contesto più restrittivo.
Guardare oltre: adattamento strategico come leva d’ingresso.
L’approccio di RaisingStar è proprio questo: aiutare gli imprenditori a leggere le tendenze prima che diventino ostacoli. Il Regno Unito non è diventato meno interessante: è semplicemente cambiato. Chi pensa ancora di “entrare nel mercato inglese” come si faceva 10 anni fa rischia di bruciarsi. Ma chi sa costruire relazioni, creare sistemi formativi e posizionarsi come partner di sviluppo locale può trovare oggi un terreno fertile. Serve più strategia, meno improvvisazione. Più collaborazione, meno dipendenza.
Ultima riflessione.
Il mondo sta cambiando. L’era dell’espansione lineare è finita. Ora vince chi sa danzare con la complessità, trasformare le regole in alleati e il contesto in campo di gioco. Non si tratta solo di trovare nuovi clienti, ma di diventare indispensabili per un mercato che chiede risposte, non solo offerte. E allora la domanda non è: “Come faccio ad entrare in UK? ”La vera domanda è: “Che valore porto, che il Regno Unito non può permettersi di ignorare?”
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