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Industria italiana ed Emirati: un nuovo asse strategico per la manifattura avanzata.


Dubai al tramonto con infrastrutture moderne e cielo limpido e le bandiere italiana ed emiratina che sventolano.

Nel 2025, il rapporto tra industria italiana ed Emirati sta conoscendo una fase di profonda trasformazione. Non si tratta solo di esportare prodotti di qualità, ma di partecipare alla costruzione di un nuovo hub produttivo internazionale. Grazie alla spinta strategica del piano Make it in the Emirates e agli investimenti su tecnologie avanzate, gli Emirati Arabi Uniti stanno diventando un terreno fertile per la manifattura italiana, specialmente nei settori dell’automazione industriale, dei materiali speciali e dei sistemi integrati.


Una nuova fase industriale nel cuore del deserto.

Negli ultimi anni, gli Emirati Arabi Uniti hanno smesso di essere solo la “vetrina” dorata del Golfo. La trasformazione è profonda: l’economia si sposta dall’estrazione alla produzione, dalla rendita alla costruzione. Con il programma “Make it in the Emirates”, il governo emiratino ha deciso di fare della manifattura una leva strategica per diversificare il PIL, ridurre la dipendenza dagli idrocarburi e posizionarsi come hub industriale di nuova generazione.

Parliamo di investimenti concreti: oltre 5 miliardi di AED destinati al solo programma Tech Drive, pensato per accelerare l’adozione di tecnologie di frontiera nelle filiere produttive. Il focus è su automazione, materiali ad alte prestazioni, additive manufacturing, e supply chain resilienti. Questo scenario non è più un orizzonte potenziale: è in atto.

E l’Italia, con il suo patrimonio manifatturiero, non è ospite. È co-protagonista.


Perché l’industria italiana è più rilevante che mai negli Emirati.

Mentre molti ancora guardano agli EAU come un mercato di sbocco per il lusso o l’agroalimentare, chi ragiona in chiave industriale vede molto di più: un ecosistema emergente che ha bisogno di know-how, di macchinari, di progettualità avanzata.

Le competenze italiane nella meccanica di precisione, nella robotica industriale, nei macchinari specializzati e nei sistemi integrati per l’automazione trovano negli Emirati non solo un mercato, ma un contesto desideroso di crescere velocemente con partner affidabili.

Qui non si cercano solo fornitori. Si cercano alleanze. Le Free Zones tematiche, come Dubai Silicon Oasis per la tecnologia o KIZAD per la logistica e la produzione, offrono contesti operativi pronti all’uso, con vantaggi fiscali mirati (es. tassazione allo 0% per le QFZP), strutture moderne e processi di autorizzazione semplificati.


Dall’export alla presenza industriale: un cambio di paradigma.

Per molte PMI italiane, il mercato emiratino è stato finora affrontato con lenti da esportatori: distributori, agenti locali, fiere. Oggi, invece, il contesto premia chi è disposto a ragionare da costruttore di relazioni produttive, non solo da venditore di beni.

La presenza industriale diretta, anche attraverso strutture snelle, diventa leva strategica per partecipare alle gare pubbliche, accedere agli incentivi su ricerca e sviluppo, assumere personale qualificato e godere di un posizionamento superiore nella filiera.

Gli Emirati non chiedono solo di esportare valore. Chiedono di co-crearlo.

In questo quadro, le startup manifatturiere e le PMI italiane ad alta specializzazione possono sfruttare la formula “light presence”: una micro-unità produttiva, magari integrata in una Free Zone, abilitata ad accedere al mainland con la nuova normativa 11/2025.


Visione a lungo termine: gli Emirati come piattaforma industriale globale.

Guardare agli Emirati significa ragionare in ottica regionale, non solo locale. Da qui passano le rotte che connettono Europa, Asia, Africa e India. Le filiere che nascono negli EAU sono pensate per scalare rapidamente, con logistica integrata e una rete di accordi di libero scambio in crescita.

Inoltre, l’impegno di investimento da 40 miliardi di dollari siglato tra EAU e Italia nel 2025 ha formalizzato un passaggio epocale: le due economie non si limitano a scambiare prodotti, ma co-progettano il futuro in aree strategiche come i materiali critici, l’energia rinnovabile, i data center e, appunto, la manifattura.

Per l’industria italiana, questa è un’occasione da cogliere con lucidità e profondità: non con la fretta dell’occasione, ma con la visione dell’architetto.


Ultima riflessione.

Siamo davanti a un bivio culturale prima che industriale: vogliamo continuare a essere i migliori artigiani dell’export, o diventare co-costruttori delle architetture produttive globali del futuro?

La manifattura italiana ha tutte le carte in regola per essere un punto di riferimento nella nuova geografia industriale mediorientale. Ma servono nuove lenti: meno paura della complessità fiscale, più visione strategica. Meno approccio da “fare il colpo”, più volontà di seminare radici industriali in un terreno dove il futuro si sta scrivendo adesso.

Gli Emirati non sono un sogno esotico per aziende in cerca di clienti. Sono una palestra geopolitica dove imparare, crescere, costruire. La domanda da porsi è: quanto vogliamo far parte della prossima rivoluzione industriale globale? E da dove vogliamo cominciare a metterci le mani.

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