Leadership e controllo strategico: la lezione di Elon Musk.
- Davide Mitscheunig
- 21 mag
- Tempo di lettura: 3 min

In un’epoca di incertezza sistemica, il concetto stesso di leadership si sta ridefinendo.
Non basta più guidare un’azienda: serve mantenerne la traiettoria, serve averne il controllo strategico.
Durante il Qatar Economic Forum 2025, Elon Musk ha dichiarato pubblicamente che resterà CEO di Tesla per almeno altri cinque anni, ma dietro questa affermazione, apparentemente ovvia, si cela una riflessione potente: il vero potere oggi non è produrre, ma decidere.
E per decidere serve controllo.
Un messaggio che ogni imprenditore con ambizione internazionale farebbe bene a interiorizzare.
Il controllo come leva di visione: quando la governance diventa strategia.
La stampa ha insistito sul pacchetto di compensi da 56 miliardi. Ma Musk ha spostato il focus altrove: non si tratta di soldi, ma di non essere rimpiazzato da chi non condivide la visione. In un mondo dove gli investitori attivisti possono modificare la rotta di un’impresa in nome di logiche estranee al progetto originario, il controllo diventa un asset di lungo periodo. Per chi guida una PMI, questa dinamica è meno visibile, ma non meno vera. Chi possiede l’impresa, oggi, deve difendere il diritto di pensare in grande senza compromessi.
Polarizzazione reputazionale: tra brand, politica e sopravvivenza strategica.
Tesla perde clienti in Europa per via delle posizioni politiche di Musk? Lui risponde: "Abbiamo perso a sinistra, ma guadagnato a destra."Una frase divisiva, certo, ma anche una fotografia lucida: oggi ogni decisione di posizionamento è anche politica. Non ci sono più “mercati neutri”. Ogni impresa è chiamata a scegliere dove stare, con chi allinearsi, quali valori incarnare. E chi non prende posizione, rischia di essere risucchiato dal rumore.
Nel business globale, la reputazione è una geometria variabile, che richiede architettura e coerenza. Non improvvisazione.
Oltre la produzione: la leadership come infrastruttura culturale.
Musk ha parlato di robot, satellite, accesso globale a Internet, ma in fondo stava dicendo un’unica cosa: “Io voglio costruire il futuro. E voglio farlo a modo mio.”
È questa la mentalità che separa i founder dai gestori. Chi produce valore oggi deve anche gestire ecosistemi, influenzare reti, costruire consenso. Non basta fare bene. Serve capire le interdipendenze, mappare le pressioni culturali, anticipare i venti politici. Il futuro dell’imprenditoria internazionale non è tecnico, ma narrativo. Serve leadership che pensa in termini di architettura globale, non solo di business plan.
Cosa significa per chi guida un’azienda italiana oggi.
La lezione non riguarda solo Tesla. Per le imprese italiane che vogliono uscire dal perimetro nazionale, il vero rischio non è la concorrenza, ma l’irrilevanza strategica. Chi si muove nel Golfo, negli USA, in Asia, lo sa: le scelte di oggi determinano la posizione nella rete dei prossimi dieci anni. E chi non presidia la propria governance, chi non integra visione e reputazione, chi non sviluppa nuove competenze relazionali globali… è già fuori.
Il metodo con cui si vendono prodotti all’estero, oggi, è secondario rispetto a come si pensa l’espansione.
Ultima riflessione.
Elon Musk, nel bene e nel male, non chiede il permesso. Costruisce strutture che durano nel tempo, senza cedere il timone a chi guarda al trimestre. Che ci piaccia o no, questa è una lezione per ogni imprenditore che voglia giocare sul campo dell’economia globale.
La domanda quindi non è: “Quanto posso crescere quest’anno?”, ma piuttosto:“Quale forma voglio dare alla mia impresa nel nuovo ordine globale?”
Se non sei tu a decidere dove stai andando, qualcuno lo farà al posto tuo.
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