Instabilità tedesca e leadership fragile: come cambia la mappa del potere globale.
- Davide Mitscheunig
- 7 mag
- Tempo di lettura: 3 min

L’elezione tormentata del nuovo cancelliere tedesco Frederick Mertz non è solo una questione parlamentare. È il simbolo di una più ampia instabilità sistemica che attraversa oggi i centri nevralgici del potere occidentale. In un contesto di contrazione economica, tensioni fiscali e disallineamento strategico tra alleati storici, il concetto stesso di affidabilità istituzionale sta cambiando. E con esso, anche le coordinate su cui si fondano da decenni le strategie di internazionalizzazione delle imprese italiane.
Germania: il cuore d’Europa sotto pressione.
Il Bundestag ha faticato a eleggere Frederick Mertz. È servita una seconda votazione e un’inedita reinterpretazione costituzionale per superare un ostacolo che, fino a pochi mesi fa, sarebbe sembrato inimmaginabile. Il significato va ben oltre l’episodio procedurale.
La Germania non è semplicemente un partner commerciale. È l’ancora industriale e fiscale dell’Europa. E ora mostra segni evidenti di affanno: contrazione economica prolungata, crisi nella manifattura, piani pubblici da oltre 1.000 miliardi da finanziare con una coalizione politica frammentata e poco coesa.
L’instabilità tedesca pone interrogativi sulla solidità dell’intera architettura europea. E gli investitori internazionali, così come le imprese italiane che operano o esportano in Germania, devono prenderne atto: lo scenario è cambiato. Affidarsi a logiche di continuità storica può oggi risultare più rischioso che non agire affatto.
USA e la polarizzazione come modello economico.
Sul versante atlantico, gli Stati Uniti si preparano a una nuova possibile presidenza Trump. Con essa, tornano anche visioni economiche protezionistiche, incentivi al reshoring, tagli fiscali selettivi e politiche di esclusione dagli aiuti pubblici.
Il debito federale ha superato i 37 trilioni di dollari. I soli interessi sul debito costano più della difesa. Il governo, sotto pressione, adotta una postura aggressiva anche nei confronti dei partner commerciali tradizionali. La leva dei dazi è ormai strumento diplomatico tanto quanto doganale. I negoziati multilaterali vengono svuotati di significato in favore di un approccio bilaterale muscolare.
Questo contesto genera una nuova forma di volatilità normativa. L’accesso al mercato americano resta strategico, ma impone nuove competenze: visione politica, rapidità decisionale, capacità di gestire incertezza e flessibilità normativa. Chi opera negli USA senza questa consapevolezza rischia di subire più che costruire.
Esportare oggi richiede una nuova alfabetizzazione geopolitica.
Non è più sufficiente conoscere le logiche di prezzo, canale e posizionamento. L’imprenditore che vuole affrontare i mercati internazionali oggi deve sviluppare una vera e propria cultura geopolitica d’impresa.
Significa saper leggere le elezioni in Germania non solo come notizia, ma come segnale. Comprendere che un attacco in Kashmir tra India e Pakistan può bloccare una catena logistica o far saltare un contratto con un partner in Asia. Intuire che le decisioni sul Medicaid americano possono impattare il potere d’acquisto in segmenti chiave del retail USA.
La “strategia internazionale” non è più un’esportazione con l’etichetta in inglese. È un sistema di scelte consapevoli, costruite su scenari dinamici, letti con strumenti nuovi. Chi non si dota di questa alfabetizzazione è destinato a operare al buio.
Verso un nuovo vantaggio competitivo: la reattività consapevole.
In un mondo dove la stabilità è diventata l’eccezione, la capacità di adattamento consapevole diventa il vero vantaggio competitivo. Non si tratta di rincorrere ogni cambiamento, ma di posizionarsi in anticipo rispetto alla curva.
Questo richiede un doppio lavoro: da un lato, strutturare una strategia di internazionalizzazione resiliente, che non dipenda da singoli mercati o incentivi temporanei. Dall’altro, dotarsi di strumenti e competenze per leggere i segnali deboli: un’indecisione parlamentare, un dazio annunciato, una coalizione fragile.
Chi agisce ora, in questa fase di transizione, può conquistare spazi che domani saranno contesi. Ma per farlo deve uscire dalla logica opportunistica e abbracciare una visione sistemica, profonda, informata.
Conclusione: la geopolitica entra in consiglio di amministrazione.
Non si tratta di essere ottimisti o pessimisti. Si tratta di essere preparati. L’instabilità tedesca, la polarizzazione americana, le tensioni indo-pakistane: ogni elemento compone una mappa nuova, non ancora definitiva, ma già attiva.
Per chi guida un’impresa italiana, soprattutto in settori legati all’export, la domanda non è più se andare all’estero, ma come farlo in modo sostenibile.
Quali mercati avranno ancora una governance prevedibile tra cinque anni?Quali saranno i nuovi hub logistici e produttivi?Quali alleanze internazionali favoriranno o ostacoleranno la crescita delle nostre imprese?
Rispondere oggi a queste domande non è un esercizio accademico. È un atto di leadership.
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