Nuove sanzioni secondarie USA alla Russia: impatti su export e internazionalizzazione.
- Davide Mitscheunig
- 28 mag
- Tempo di lettura: 3 min

Bloomberg lo ha annunciato con chiarezza: gli Stati Uniti stanno valutando l’attivazione di sanzioni secondarie verso i Paesi che mantengono rapporti economici con la Russia, soprattutto in ambito energetico.
Questa mossa, se attuata, non colpirà direttamente Mosca, ma potrebbe mettere in seria difficoltà tutte le aziende internazionali che operano in mercati strategici “non allineati” e non è solo una misura tecnica: è un avviso geopolitico a chiunque faccia impresa nel mondo.
Da oggi, anche le tue alleanze commerciali possono diventare un rischio sistemico. Il contesto cambia: le regole del gioco non sono più neutre.
Cosa sono davvero le sanzioni secondarie?
Le sanzioni secondarie sono uno strumento usato da Washington per estendere l’effetto delle sanzioni primarie anche su soggetti esteri che formalmente non violano alcuna legge americana. In pratica: se commerci con un’entità russa, o con un Paese che continua a farlo (come India, Cina, Turchia), potresti essere tagliato fuori dal sistema finanziario USA. Il punto centrale è che non è più necessario avere una relazione diretta con la Russia per trovarsi coinvolti. Basta una triangolazione, una dipendenza, un cliente “sbagliato”.
A chi parla davvero questa misura?
A chi lavora con la Russia? Sì.
Ma il vero bersaglio sono le imprese che operano tra blocchi. L’Italia, come ponte naturale tra Europa, Medio Oriente, Nord Africa e Asia, è particolarmente esposta. Molte aziende italiane, nel manifatturiero, nell’energia, nei macchinari, nell’export agroalimentare, vendono o si approvvigionano in Paesi considerati strategicamente “ambigui” dal punto di vista USA.
Oggi, quelle stesse aziende rischiano di essere considerate inaffidabili dai partner americani. O, peggio, di essere colpite senza preavviso da limitazioni bancarie, logistiche o legali.
Effetti pratici per chi fa business internazionale.
Le implicazioni sono immediate:
Blocco dei pagamenti via banche USA o euro-dollar based;
Esclusione da progetti multilaterali (anche se indiretti);
Perdita di accesso a licenze, strumenti digitali o assicurazioni commerciali;
Danno reputazionale nei confronti di clienti e investitori occidentali.
Il rischio vero non è solo operativo. È l’impossibilità di pianificare. Quando le regole cambiano in modo arbitrario, ogni partnership può trasformarsi in una minaccia e ogni espansione, in un azzardo geopolitico.
Il punto cieco europeo: nessuna protezione, molte dipendenze.
L’Unione Europea, ad oggi, non offre alcun sistema di protezione concreto per le aziende colpite da sanzioni secondarie USA.
Il risultato? Le imprese europee si trovano esposte come americane, ma senza la leva politica o commerciale di Washington. È il peggior scenario possibile: massima vulnerabilità, minima influenza.
E nel frattempo, chi muove la geopolitica (USA, Cina, India) si rafforza.
La risposta non è chiudersi, ma scegliere dove stare.
Molti penseranno di limitare l’internazionalizzazione.Errore.La risposta è non semplificare. È raffinare la propria strategia. Significa:
analizzare la geopolitica di ogni fornitore e cliente;
prevedere scenari alternativi;
costruire alleanze “pulite” e posizionamenti credibili nei blocchi dominanti. Non è un lavoro per tutti, ma chi lo fa, sarà tra i pochi in grado di giocare ancora sul campo globale.
Ultima riflessione.
Le nuove sanzioni USA non sono un incidente. Sono un segnale.
Il sistema globale è diventato una scacchiera instabile, in cui non basta muoversi: bisogna sapere perché e dove.
Ogni ritardo nella costruzione di una strategia geopoliticamente sostenibile è un vantaggio regalato ai competitor che si stanno già posizionando.
E se domani uno dei tuoi clienti diventasse “radioattivo”, saresti pronto a rispondere?
Non è più una questione di crescita. È una questione di sopravvivenza strategica.
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